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276 ATTO TERZO

Pantalone. Sì, fia mia, te perdono. Ma no me far più de ste burle. Co t’ho dito de taser, no ti dovevi parlar.

Rosaura. Allora aveva di già parlato.

Pantalone. No me fazzo maravegia, perchè la testa delle donne la xe come un caratelloa. Quel che intra per i spinellib o delle recchie, o dei occhi, subito va fuora per el cocconc della bocca.

SCENA XXV.

Florindo e detti.

Florindo. Io, signor Pantalone, fui quegli che per salvare la vostra vita portai le istanze alla Giustizia contro la signora Beatrice e al signor Ottavio. Ciò feci spronato dall’amore di genero, onde spero che voi mi perdonerete, non men di quelli che ho creduto d’essere in necessità di offendere, siccome vivamente li prego.

Pantalone. No posso desapprovar la vostra condotta. Ma mi che penso diversamente dai altri, ringrazio el Cielo che la sia andada cussì. Ve scuso e ve perdono, e sul mio esempio no gh’è pericolo che mio fio e mia mugier no i fazza con vu l’istesso.

Ottavio. Come cognato e vero amico vi abbraccio.

Beatrice. Io vi protesto tutta l’amicizia ed il rispetto. Ma, caro consorte, giacchè siete così facile a conceder grazie, un’altra ardirei domandarvene.

Pantalone. Domande pur. Voleu el sangue? Tutto lo sparzerò per vu, la mia cara colonna.

Beatrice. Colombina e Arlecchino hanno perduto il pane per mia cagione. Son qui, che chiedono pietà; vi prego rimetterli in grazia vostra, assicurandovi che muteranno costume col nostro esempio.

  1. Caratello, picciola botte.
  2. Spinelli, piccioli fori.
  3. Coccon, turacciolo, e si prende per il maggior foro del botticino, a cui s’adatta il turacciolo.