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274 ATTO TERZO

SCENA XX.

Camera di Pantalone con due porte.

Lelio e Diana.

Lelio. Vi dico, signora Diana, che giù per quella scala io non ci voglio andare, e non ci dovete andar nemmen voi.

Diana. Questo è un vostro vano sospetto. Ancorchè fosse vero, che nella scala che dite vi fosse il trabocchetto, ora per l’appunto Pantalone avrà levato l’ordigno. Eh via...

Lelio. Nello scender ch’io feci, tentai bel bello col piede ciascun gradino, e sentii che il quinto volea mancarmi di sotto i piedi, se non ero prevenuto e non mi ritiravo per tempo.

Diana. Vi dico che questa è apprensione.

Lelio. Io non voglio arrischiar la vita.

Diana. Che dunque? Dobbiamo stare qui eternamente?

Lelio. Aspettiamo la sera e col favor delle tenebre scenderemo dalla finestra.

Diana. Bel pensiere! (ridendo)

Lelio. Opportuno, mia signora.

Diana. Sento gente.

Lelio. Torniamo a nasconderci. (entra nella sua camera)

Diana. Per esser uomo, è più vile di me. (entra nella sua)

SCENA XXI.

Pantalone solo.

Ah Giove, ah Giove, ve ringrazio con tutto el cuor. Me xe riussio finalmente de salvar la reputazion. Tutti chi m’incontra, se ralegra1 con mi, e persuasi che Beatrice e Ottavio fusse innocenti, i compatisse la so desgrazia, e i gh’ha invidia della mia fortuna. Me par, se no me inganno, d’aver intenerio quei cuori de sasso. Ah, se fusse vero, no ghe sarave a sto mondo un omo più felice de mi.

  1. Bettin.: raliegra.