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252 | ATTO terzo |
Beatrice. Anch’io son sola, per grazia del vostro signor padrone, che ha licenziata tutta la servitù, ed ho bisogno di far ricapitare questi due fogli.
Cuoco. Ma io non posso; vede bene, ho le pentole al fuoco.
Beatrice. Bisogna andarvi assolutamente.
Cuoco. E se le vivande anderanno male?
Beatrice. Vada al diavolo tutto, ma questo s’ha da fare.
Cuoco. Il padrone griderà.
Beatrice. La padrona son io.
Cuoco. E il desinare chi lo farà?
Beatrice. Il boia che t’appicchi. Va e porta questi viglietti, e non replicare.
Cuoco. Comanda chi può, obbedisca1 chi deve. A chi vanno, illustrissima?
Beatrice. Questo va al signor Lelio Anselmi, e questo alla signora Diana Ardenti. Recali subito, e fatti dare la risposta.
Cuoco. Sarà puntualmente servita. Ma la supplico far dar un’occhiata alle pentole... (Oh maladetta!) (da sè)
Beatrice. Che vi è in quelle pentole?
Cuoco. In questa un ragù di polli alla francese; in questa un pezzo di carne pasticciata; in questa dell’erbe per una zuppa santè; in questa quattro maccheroni per la servitù; e in questa la panatella per il signor Pantalone.
Beatrice. Non dubitare, che se capiterà alcuno, farò assistere alla cucina.
Cuoco. Ma... non potrebbe mandar questi due viglietti...
Beatrice. Animo, non più parole.
Cuoco. Vado subito. (Uh, che diavolaccio è costei!) (da sè e parte)
SCENA II.
Beatrice, poi Ottavio.
Beatrice. Può darsi che il veleno produca colla morte di Pantalone qualche disordine, perciò voglio procurare di avere in casa qualche
- ↑ Sav. e Zatta: ubbidisce.