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244 | ATTO SECONDO |
Diana. Ah per amor del cielo, signor Pantalone...
Pantalone. Con so bona grazia, bisogna che vaga in mezàa. (Inghioti sta pillola1, e impara a far zoso la zoventù). (da sè, e parte)
SCENA XVI.
Diana, poi Ottavio.
Diana. Chi intese mai più barbaro tradimento? E lo scellerato, per maggior mio scorno, mi manda a farmi deridere da suo padre?
Ottavio. E bene, come andò la faccenda?
Diana. Come andò, eh? Come per l’appunto desiderava la tua perfidia. Sarai contento, or che mi hai svergognata in faccia del tuo medesimo genitore.
Ottavio. Come? Che dite?
Diana. Ma perchè non dirmelo tu, scellerato? Perchè non svelarmi colla tua bocca il segreto che avevi nel cuore? Perchè farmelo saper da tuo padre?
Ottavio. Ma io rimango attonito. Che v’ha detto mio padre?
Diana. Va, sposa la signora Eleonora; prenditi la pingue dote di sessanta mila ducati, ma non ti lusingare ch’io lasciar voglia invendicati i miei torti.
Ottavio. Signora Diana, ve l’ho detto; mio padre è un vecchio furbo; vi avrà dato ad intendere lucciole per lanterne.
Diana. Ancor fìngi? Ancor mi schernisci? Lo2 conosco il tuo carattere; pur troppo hai tu sottoscritta in un foglio la tua fortuna e la mia morte.
Ottavio. Ma di che foglio parlate? Si può sapere?
Diana. Lo devo ripetere per mio rossore e per tuo contento; lessi il contratto nuziale da te sottoscritto colla signora Eleonora Aretusi.
Ottavio. Dov’è questo contratto?
Diana. Tuo padre l’aveva e l’ha tuttavia nelle mani.
- ↑ Mezà, dicesi ad una stanza che serve a uso di studio o di negozio.