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232 ATTO SECONDO

Arlecchino. (Dice) Eccolo. (e sì vede alzar la portiera)

Rosaura. Ecco il mio caro bene.

Arlecchino. (Esce vestito con giubba e parrucca, e fa delle riverenze a Rosaura)

Rosaura. Eh scimunito, indiscreto! Che1 fai cogli abiti di Ottavio mio fratello? Il signor Florindo dov’è?

Arlecchino. Patrona cara, cerchelo vu, perchè a mi no me dà l’anemo de trovarlo. Ma in mancanza soa, son qua mi e m’esibiss mi.

Rosaura. Come! non vi è Florindo?

Arlecchino. Gnora no.

Rosaura. Eh! tu m’inganni.

Arlecchino. Nol gh’è, in conscienza mia.

Rosaura. Non posso più; modestia, abbi pazienza. (entra in camera di Florindo)

Arlecchino. Lu no gh’è certo. L’è andà via, el l’ha impiantada. Chi sa che no la me toga mi? (Rosaura esce)

Rosaura. Ah me infelice! ah me meschina! ah Florindo traditore! ah barbaro! ah inumano! Mi ha lasciata, mi ha tradita, se n’è fuggito.

Arlecchino. No ve desperè, son qua mi.

Rosaura. Ho ben veduto il mio povero padre mesto e confuso. Siamo assassinati. Ah Florindo crudele, queste sono le promesse? son questi i giuramenti? Ahimè! mi sento morire. (piange)

Arlecchino. Siora padroncina, no pianzì, che me fè pianzer anca mi.

Rosaura. Mi manca il respiro, mi si oscura la luce, mi sento la morte nel seno; ma giacchè devo morire, voglio spirare almeno su quel medesimo letto, su cui quel disleale ha riposato la scorsa notte.

Arlecchino. Eh, no fè sto sproposito.

Rosaura. Sì, voglio morire, e se non basta ad uccidermi il dolore, mi darò la morte colle mie mani, (entra in camera come sopra)

Arlecchino. Uh uh, che smanie, che desperazion! (osserva alla porta) La s’ha buttà sul letto, la pianze, la se despera. L’è cussì de-

  1. Zatta: che mai.