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L'UOMO PRUDENTE 219

Florindo. Dunque partirò...

Pantalone. No no, no la se la passa co sta disinvoltura. Quella xe la camera de mio fio, che za per sta sera no vien; là ghe xe un letto, questa xe una luse. (prende il candeliere che aveva Rosaura) La vaga a repossar, e domattina se parleremo.

Florindo. Ma signore...

Pantalone. Manco chiacolea. La vaga, se no la vol che se scaldemo el sangue.

Florindo. Per obbedirvi, anderò dove v’aggrada.

Rosaura. Signor padre, ho d’andare ancor io con lui?

Pantalone. Sentì, la povera vergognosa. E ti gh’averessi tanto bon stomego?

Rosaura. Credeva... basta, mi rimetto.

Pantalone. Sior Florindo, xe tardi, la resta servida.

Florindo. V’obbedisco. Addio, signora Rosaura. (entra in camera)

Rosaura. Serva, signor Florindo. (Quanto è bellino!) (da sè)

Pantalone. (Serra Florindo in camera colle chiavi) Questa xe fatta. A vu, siora, in te la vostra camera.

Rosaura. Senza cena?

Pantalone. Anemo, digo, no me fè andar in collera...

Rosaura. Senza lume.

Pantalone. Tiolè sto poco de mocolo. tira fuori un poco di cerino)

Rosaura. Ma io ho paura...

Pantalone. Fenimola, andè a dormir, siora melodiab; che adessadesso...

Rosaura. Vado, vado, non mi sgridate, che mi fate svegliare i vermini. (entra nell’altra camera)

Pantalone. (La serra colle chiavi) Doman se descorrerà con più comodo.

Lelio. Signor Pantalone, io me ne posso andare.

Pantalone. Ve dirò, no meriteressi che ve fasse andar vivo co le vostre gambe, ma che ve fasse portar via in quattro. No lo fazzo, perchè gh’ho viscere umane in petto, e amo el mio

  1. Chiacole, chiacchere.
  2. Melodia, flemmatica.