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L'UOMO PRUDENTE | 217 |
SCENA XVI.
Pantalone col lume, e detti.
Pantalone. Eh, che non lo posso creder... Olàa! coss’è sto negozio? (vede Lelio vicino a Rosaura; Lelio s’alza e gli fa una riverenza) Servitor devotissimo. Brava, siora fia, pulito. Con tutta la vostra modestia, lo gh’avevi in traversab l’amigo.
Rosaura. Ma io, signor padre, non ne so nulla.
Pantalone. Non ne so nulla? Oh che mozzina monzua! e vu, sior Lelio, adesso ho capio. Finzevi de vegnir per Pasquin, e vegnivi per Marforio.
Lelio. Signore, quest’è un accidente impensato.
Pantalone. Lo so anca mi che non aspettavi d’esser scoverto. Orsù, qua no gh’è tempo da perder. Irimproveri sarave inutili, e! mal xe fatto. Bisogna pensar al remedio. Deve la man, sposeve, e in sta maniera tutte le cose le anderà1 a so segno.
Lelio. Oh, signore, perdonatemi...
Pantalone. Coss’è sto perdonatemi? Me maraveggio dei fatti vostri; o sposè mia fia, o co sto cortello ve scannerò co fa un porco. mette mano)
Lelio. (Sono nel bell’impegno). da sè)
Pantalone. Animo, Rosaura, daghe la man.
Rosaura. Oh, io non lo voglio assolutamente.
Pantalone. No ti lo vuol? Ah, desgraziada, no ti Io vuol, e ti gieri de notte abbrazzada con ello? Presto, no perdemo più tempo; o reparè el mio onor colle vostre nozze, o lavarè le macchie2 col vostro sangue.
Lelio. (Fingerò di sposarla, per liberarmi da un tale imbroglio). (da sè) Giacche così volete, eccomi pronto a darle la destra.
Pantalone. Presto, ubbidisci, o te sgargatoc. minaccia Rosaura)
Rosaura. Ah povera me! Lo sposerò, lo sposerò. Ecco la mano.