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L'UOMO PRUDENTE 211

SCENA XII.

Beatrice e Pantalone.

Pantalone. Siora mugier carissima, za che semo qua soli e che nissun ne sente, avanti che andè a dormir, vorave, se ve contente, dirve quattro parole.

Beatrice. Dite pure. E chi vi tiene che non parliate?

Pantalone. Vegnì qua; sentemose un puoco1, e parlemo d’amor e d’accordo.

Beatrice. Oh, io non sono stanca. Potete parlar in piedi.

Pantalone. No no, vogio che se sentemo; e a ciò no ve incomodè, tirerò mi le careghea. Via, sentève, fia mia, e no me fè andar in collera. (porta le sedie, e siede)

Beatrice. (Io non so di che umore sia la bestia; convien secondarlo). (da sè) Eccomi. Siete contento? siede)

Pantalone. Sì ben; cussì me piase; obbedienza e rassegnazion. Abbiè pazienza, se ve sarò un pochetto fastidioso, e respondeme a tonb.

Beatrice. Dite pure, ch’io v’ascolto. (M’aspetto una gran seccatura). da sè)

Pantalone. Quanti anni xe che se mia mugier?

Beatrice. Saranno ormai tre anni.

Pantalone. Donca ve recorderè quel che gieri, avanti che ve sposasse.

Beatrice. Me ne ricordo al certo. Ero una povera giovane, ma dabbene e onorata. Che vorreste dire per ciò?

Pantalone. Dota no me n’ave dà.

Beatrice. Vi siete contentato così.

Pantalone. Nobiltà in casa no me n’ave portà.

Beatrice. Son figlia di gente onorata, e tanto basta.

Pantalone. Ve recordeu quali xe stai i nostri patti, quando v’ho tioltoc?

  1. Careghe, sedie.
  2. A ton, a proposito.
  3. V’ho tiolto, vi ho preso, cioè, vi ho sposato.
  1. Zatta: poco.