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198 | ATTO PRIMO |
Beatrice. Zitto là, pettegola.
Rosaura. (Uh povera me, la gran bestiaccia!) da sè)
Ottavio. Ho inteso tutto. Non dubitate, che sarete servita. Le cento doppie, che avete di debito, le pagherò io. Le gioje già sono ordinate, e i due tagli d’abito domani li avrete a casa. a Diana)
Diana. Ma non vorrei che vostro padre...
Ottavio. Che mio padre? Che mio padre? Sono padrone io al par di1 lui. La roba l’ha fatta mio avolo, e posso anch’io prevalermene ne’ miei bisogni.
SCENA II.
Brighella e detti.
Brighella. Con licenza de sti do zentilomeni, averia bisogno de dir una parola alla padrona.
Beatrice. Questo è il corvo delle male nuove. Di’ su, che vuoi?
Florindo. (S’alza) Venite, galantuomo; parlate con libertà. (intanto s’accosta verso Rosaura)
Brighella. La sappia che in sto ponto è arriva el patron dalla campagna, onde non ho mancà d’avvisarla, acciò la se regola con prudenza. a Beatrice, piano)
Beatrice. Oh sì, ti darò la mancia per così bella nuova! Che importa a me che sia venuto mio marito? E tu, che cosa2 vuoi dire con questa prudenza che mi suggerisci?
Brighella. Digo mo... la me perdona... se no ghe paresse proprio de farse trovar in conversazion... la me scusa, védela.
Beatrice. Va via di qua, petulante, temerario che sei. Non ho bisogno dei tuoi consigli, e non mi prendo soggezione di un vecchio pazzo.
Brighella. Me piase, la lodo, la fa ben, la par bon. ironicamente)
Beatrice. Signor Florindo, favorisca; venga al suo posto.
Florindo. Eccomi, per obbedirvi.