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170 ATTO TERZO

Pancrazio. Orsù, per farvi vedere ch’io non sono interessato, e che quando posso, giovo volentieri al mio prossimo, vi darò una presa di questa polvere. Voi la berrete nel vino, e sarete tosto sanato. Subito presa, vi sentirete della confusione nello stomaco e vi parerà di morire, ma acquietato il tumulto, vi troverete un altro uomo, sarete contento e benedirete Pancrazio.

Zanetto. Sior sì, sieu benedio. Dèmela, no me fè più penar.

Pancrazio. (Il veleno datomi da Tiburzio fa appunto al caso per liberarmi da questo sciocco rivale), (da sè) Questa è la polvere, ma ci vorrebbe il vino. (gli mostra lo scatolino)

Zanetto. Anderò a casa e la beverò.

Pancrazio. (Si potrebbe pentire). (da sè) No no, aspettate, ch’io vi porterò il bisognevole. (Mi fa pietà, ma per levarmi dinanzi l’ostacolo de’ miei amori, conviene privarlo di vita). (da sè, ed entra in casa del Dottore)

Zanetto. In sta maniera no se pol viver. Coa vedo una donna, me sento arder da cao a piè, e tutte le me minchiona, le me strapazza. Desgraziae! me vegnirè sotto, me correre drio; e mi gnente, saldo. Faremo patta e pagaib. No vedo l’ora de far le mie vendette co quella cagna de Rosaura. Velo qua ch’el vien. Aveu porta el negozio?

Pancrazio. (Torna con un bicchiere con vino) Ecco il vino. Mettetevi dentro la polvere.

Zanetto. Cussì? (mette la polvere nel bicchiere di vino)

Pancrazio. Bravo. Bevete. Ma avvertite di non dire ad alcuno ch’io vi abbia dato il segreto.

Zanetto. No dubitè.

Pancrazio. Animo.

Zanetto. Son qua. Forte come una torre.

Pancrazio. E se vi sentite male, soffrite.

Zanetto. Soffrirò tutto.

Pancrazio. Parto per non dar ombra di me; mentre, se si risapesse, ognuno mi tormenterebbe, perch’io gliene dessi.

  1. Co, quando.
  2. Patta e pagai, del pari.