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I DUE GEMELLI VENEZIANI 169

Zanetto. Sarà sempre per mi l’istesso. Anca le donne de Bergamo e de Val Brambana le me burla e le me strapazza.

Pancrazio. Dunque, che volete fare?

Zanetto. No so gnanca mi, son desperà.

Pancrazio. S’io fossi come voi, sapete che cosa farei?

Zanetto. Cossa faressi?

Pancrazio. Mi darei la morte da me medesimo.

Zanetto. La morte? Disème, caro sior, no ghe saria mo un altro remedio senza la morte?

Pancrazio. E che rimedio vi può essere per guarire il vostro male?

Zanetto. Vu, che sè un uomo tanto virtuoso, no gh’averessi un secreto da farme andar via sta maledetta voggia de matrimonio?

Pancrazio. V’ho inteso. (Eccolo da sè nella rete). (da sè) Voi mi fate tanta compassione, che quasi vorrei per amor vostro privarmi d’una porzione d’un rarissimo e prezioso tesoro ch’io solo possiedo, e che custodisco con la maggior segretezza. Io l’ho lo specifico da voi desiderato, e sempre lo porto meco per tutto quello che accadere mi può. Anch’io nella mia gioventù mi sentivo tormentato da questa peste d’importuno solletico, e guai a me se non avessi avuta questa polvere in questo scatolino rinchiusa. Con questa mi son liberato parecchie volte dai forti stimoli della concupiscenza, e replicando la dose ogni cinque anni, mi sono condotto libero da ogni pena amorosa, sino all’età in cui mi vedete. Una presa di questa polve può darvi la vita, può liberarvi da ogni tormento. Se la beveste nel vino, vi trovereste privo d’ogni passione, e mirando con indifferenza le donne, potreste, deridendole, vendicarvi de’ loro disprezzi. Anzi vi correranno dietro: ma voi non curandole colla virtù della mirabile polvere, le sprezzerete, e loro farete pagar a caro prezzo le ingiurie, colle quali vi hanno trattato sinora.

Zanetto. Oh magari! Oh che gusto che gh’averave! Per amor del cielo, sior Pancrazio, per carità, deme un poco de quella polvere.

Pancrazio. Ma... privarmi di questa polvere... costa troppo.

Zanetto. Ve darò quanti bezzi che volè.