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160 | ATTO TERZO |
no vedo l’ora de sguatararmea co fa una grua in tel bevaorb della vostra grazia, e de spolverarmec in te le vostre finezze, come... sì, come l’aseno se spolvera in tel sabbion.
Rosaura. (Mi sembra ch’egli divenga sguaiato più che mai), (da sè)
Beatrice. Ah perfido! ah ingrato! ah infedele! Questa è la fede che mi giurasti? Testè mi desti la mano di sposo ed ora così mi tradisci? Per la terza volta mi deludi e m’inganni? Guardami, scellerato, guardami in volto, se hai cuore di farlo: ma no, che il rossore t’avvilisce, ti confonde il rimorso, ti spaventa il mio sdegno. Anima indegna! cuor mendace! labbro spergiuro! A che sedurmi nella casa patema? A che farmi abbandonare la patria? A che darmi la mano di sposo, se ad altra donasti il cuore? Mi fu detta la tua perfidia, ma non l’avrei mai creduta. Ora che gli occhi miei son testimoni del vero, ora scorgo i miei torti, i miei danni, i miei disonori. Va, che più non ti credo; va, che più non ti voglio. T’assolvo, barbaro, sì, t’assolvo dal giuramento, se pur te ne assolvono i numi. Più non voglio la tua destra, non bramo più la tua fede. Attendi, che per maggiormente porre in libertà il tuo perfido cuore, ti vo’ render quel foglio con cui mi tradisti, con cui m’ingannasti. Sì, barbaro, sì, crudele; ama la mia rivale, adora il suo sembiante del mio più vago, ma non sperare in altra donna ritrovar la mia fede, la mia tolleranza, il mio amore. (Parte col servo. Zanetto, frattanto che parla Beatrice, l’ascolta attentamente senza dir nulla, poi si volta verso Rosaura.)
SCENA XIII.
Rosaura, poi Zanetto.
Zanetto. E cussì, tornando al nostro proposito... (a Rosaura)
Rosaura. A qual proposito tornar pretendi, mancatore, spergiuro? Desti la fede ad altra donna, ed ora me ingannare pretendi?