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I DUE GEMELLI VENEZIANI | 141 |
Beatrice. Via, non mi fate penare.
Zanetto. Siora sì, son qua. Cossa vorla che fazza?
Beatrice. Datemi la mano.
Zanetto. Anca tutte do, se la vol. (gli tocca la mano) Oh cara! oh che man, oh che bombasoa)! oh che seab!
SCENA XVI.
Florindo in disparte, e detti.
Florindo. (Che vedo! Tonino ha ritrovata Beatrice! Oh sventurato ch’io sono! Convien ritrovar partito per rimediarvi). (da sé)
Beatrice. Almeno vi fosse alcuno, che servir potesse di testimonio.
Zanetto. Quel sior saravelo bon?
Beatrice. Oh sì, signor Florindo, finalmente mi è riuscito pacificare il mio sposo; egli mi vuol dare la mano, e voi siete pregato a servire per testimonio.
Zanetto. Sior sì, per testimonio.
Florindo. Questo veramente è un uffìzio che ho sempre fatto mal volentieri, ma quando si tratta degli amici, si fa di tutto. Prima però, favoritemi una parola in grazia. (a Zanetto)
Zanetto. Volentiera. Non la vaga via, che vegno subito, sala. (a Beatrice)
Florindo. Ditemi, amico, non siete voi stato in quella casa? (mostra la casa del Dottore, parlando in disparte con Zanetto)
Zanetto. Sior sì.
Florindo. Per che fare, se è lecito saperlo?
Zanetto. Per sposar la fia del sior Dottor.
Florindo. Ed ora volete sposar la signora Beatrice?
Zanetto. Sior sì.
Florindo. Ma se avete impegno colla signora Rosaura.
Zanetto. Eh, le sposerò tutte do, n’importa. Son da ela. (a Beatrice)
Florindo. No no, sentite. Ma voi burlate.
Zanetto. Digo dasseno mi. Son capace de sposarghene anca siec.