Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, II.djvu/141


I DUE GEMELLI VENEZIANI 135

Tonino. Caro vecchio, fenì de dir de Venezia. (a Brighella)

Pancrazio. Perdoni, deve partire. Va tosto, spicciati.

Brighella. Se vederemo. Lustrissimo sior Zanetto! (parte)

Tonino. (Sia maledetto sto intoppo. Son in t’una estrema curiosità). (da sé)

Pancrazio. Riverisco il signor Zanetto.

Tonino. Patron mio stimatissimo.

Pancrazio. Ah! io ho compassione di voi: ma mi pare alla cera che vossignoria poco si curi de’ miei consigli.

Tonino. Anzi mi son uno che ascolta volentiera i omeni de garbo, come credo che la sia ela.

Pancrazio. Poi fate a vostro modo, non è così?

Tonino. Come porla dir sta cossa?

Pancrazio. Mi pare, mi pare, e forse non sarà. Vi vedo in questa casa, e ne dubito.

Tonino. (Vardemo, se podemo scoverzera qualcossa). (da sé) In sta casa zente cattiva, nevvero?

Pancrazio. Ah, pur troppo!

Tonino. Zente che tira alla vita?

Pancrazio. E in che modo!

Tonino. Quel Dottor particolarmente xe un omo indegnissimo.

Pancrazio. L’avete conosciuto alla prima.

Tonino. La putta mo, la putta come xela?

Pancrazio. Non le credete, vedete, non le credete. E tutta inganni.

Tonino. Con quella ciera patetica?

Pancrazio. Eh, amico, appunto queste che compariscono modestine e colli torti, queste la sanno più lunga dell’altre.

Tonino. Saveu che no disè mal?

Pancrazio. Anzi dico bene.

Tonino. Ma vu, sior, cossa feu in casa de sta zente cussì cattiva?

Pancrazio. Io m’affatico per illuminarli e far loro cambiar costume; ma sinora inutilmente seminai nella rena. Non si fa nulla, non si fa nulla.

  1. Scoverzer, scoprir.