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110 ATTO PRIMO

SCENA XVI.

Florindo, e detti.

Florindo. (Colla spada alla mano) Eccomi in difesa dell’amico. A me volgete quel ferro.

Lelio. Colui è un vile, è un codardo. (a Florindo, intendendo parlare del creduto Tonino)

Zanetto. Sior sì, el dise la verità. (a Florindo)

Florindo. Mentite, egli è un uom valoroso. (a Lelio)

Zanetto. (Sto sior me cognosse poco). (da sè)

Lelio. Perchè dunque meco non si cimenta?

Zanetto. (Perchè gh’ho paura). (da sè)

Florindo. Perchè più non si degna di combatter con voi.

Zanetto. (Che matto che xe costù). (da sè)

Florindo. Ma comunque sia, meco avete da cimentarvi, (a Lelio)

Lelio. Eccomi, non temo nè di voi, nè di cento. (si battono)

Zanetto. Bravi, pulito, animo, dei, sbusèlo1.

Florindo. Ecco atterrato il superbo. (Lelio cade)

Lelio. Sorte crudele, nemica de’ valorosi!

Florindo. La tua vita è nelle mie mani.

Zanetto. Siben, mazzèlo. Ficheghela quella cantinella in tel corbame2.

Florindo. Non sarebbe azione da cavaliere.

Zanetto. Gierela azion da cavalier la soa, quando el me voleva sbusar?

Florindo. Ma voi l’altra volta non rimproveraste colui, perchè mi minacciò la morte, mentre era caduto?

Zanetto. Eh, che sè matto. Dei, mazzèlo.

Florindo. No: vivi, e riconosci da me la vita. (a Lelio)

Lelio. Voi siete degno di starmi a fronte; ma colui è un vigliacco, un poltrone. (parte)

  1. Dei, dategli. Sbusèlo, bucatelo.
  2. Ficheghela quella cantinella in tel corbame, cacciategli quella spada nel ventre.