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I DUE GEMELLI VENEZIANI | 109 |
SCENA XV.
Zanetto, poi Lelio.
Zanetto mesto e pensoso, senza parlare, toccandosi
la guancia dello schiaffo.
Lelio. Or siete solo. Ecco il tempo di cimentarvi. (a Zanetto, da lui creduto Tonino)
Zanetto. Servitor umilissimo.
Lelio. Meno cerimonie e più fatti. Ponete mano.
Zanetto. La man? Xe qua la man.
Lelio. Che? Fate lo scimunito? Ponete mano alla spada.
Zanetto. Alla spada?
Lelio. Sì, alla spada.
Zanetto. Mo perchè?
Lelio. Perchè non soffre il coraggioso mio cuore, che fra l’eroiche gesta del suo valore si conti una perdita sola.
Zanetto. De che paese xela, padron?
Lelio. Io son romano. Perchè?
Zanetto. Perchè no l’intendo gnente affatto.
Lelio. Se non intendete me, intenderete il lucido lampo di questo ferro. (pone mano alla spada)
Zanetto. Oe, zente, agiuto, el me vol mazzar. (grida forte)
Lelio. Ma che! Fingete voi meco, per maggiormente deridermi? So che siete valoroso, ma in mio confronto cederebbe lo stesso Marte, se Giove di sua mano non mi disarmasse. Venite al cimento.
Zanetto. (Prima un schiaffo e adesso la spada? Stago fresco, come una riosa). (da sé)
Lelio. Animo, dico, rispondete ali’invito. (gli dà una piattonala)
Zanetto. Aseoa!
Lelio. O difendetevi, o vi passo il petto. (in atto di ferirlo)
- ↑ Aseo! aceto! esclamazione di sorpresa.