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106 ATTO PRIMO

Lelio. Eccomi. (si pone in guardia contro Tonino)

Tonino. Bravo, coraggio. (si battono; Tonino disarma Lelio)

Lelio. Sorte ingrata! Eccomi disarmato.

Tonino. L’è disarmà, e tanto me basta: vedeu come se tratta? No ve manazzo, no digo muori. Me basta l’onor de averve vinto. Me basta la spada per memoria de sto trionfo: cioè la lama, che la guardia ve la manderò a casa, acciò la podiè1 vender, e podiè pagar el cerusico, che ve caverà sangue per el spasemo che ave abuoa.

Lelio. Basta, ad altro tempo riserbo la mia vendetta.

Tonino. Da muso a muso, son sempre in casa, co me volè.

Lelio. Ci vedremo, ci vedremo2. (parte)

SCENA XIII.

Florindo e Tonino.

Tonino. «Va pur, e per tua gloria basti

«Il poter dir che contro me pugnasti.

Florindo. Caro amico, quanto vi son tenuto!

Tonino. Alle curte. Beatrice dove xela?

Florindo. Beatrice!... (Finger mi giovi). E chi è questa Beatrice?

Tonino. Quella putta che ho fatto scampar da Venezia, e l’ho mandada qua da vu, pregandove de custodirla fina3 al mio arrivo.

Florindo. Amico, io non ho veduto alcuno.

Tonino. Come! diseu dasseno o burleu?

Florindo. Dico davvero, lo non ho veduto la donna che dite, e mi sarei fatto gloria4 di potervi servire.

Tonino. Ho inteso; la me l’ha fatta. Me pareva impossibile de trovar una donna fedel. Xe do anni che ghe fazzo l’amor. So pare no me la vol dar, perchè el gh’ha in testa che sia un pochetto scavezzob, perchè me piase goder i amici e far un poco

  1. Abuo. avuto.
  2. Scavezzo, rotto, cioè discolo.
  1. Zatta: podè.
  2. Così Zatta: Paper. e Savioli: Si vederemo. Si vederemo.
  3. Sav. e Zatta: fino.
  4. Bettin.: tenuto a onore.