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102 | ATTO PRIMO |
ho quasi seco dovuto precipitare? Se tornate a partire, ed egli giunge a penetrarlo, non vi esimerete da qualche insulto.
Beatrice. Una donna onorata non teme insulti.
Florindo. Ma una donna sola con un servitore per viaggio, per quanto sia onorata, fa sempre una cattiva figura, ed è facile ricever un affronto.
Beatrice. Tant’è, voglio partire.
Florindo. Aspettate almen due giorni.
Beatrice. Ah, che il cuor mi predice, che ho perduto il mio Tonino.
Florindo. Tolga il cielo gli auguri: ma se mai lo aveste perduto, che vorreste fare ritornando in Venezia?
Beatrice. E che avrei a fare stando in Verona?
Florindo. Qui forse trovereste persona, che persuasa del vostro merito, potrebbe occupare il luogo del vostro caro Tonino.
Beatrice. Oh, questo non sarà mai. O sarò di Tonino, o sarò della morte.
Florindo. (Eppure, se qui restasse e non venisse il suo amante, spererei a poco a poco di vincerla). (da sé)
Beatrice. (Quando meno lo crederà, gli fuggirò dalle mani). (da sé)
Florindo. Ma ecco qui quel ganimede affettato di Lelio. Egli s’aggira sempre d’intorno a voi; guardi il cielo, se foste senza di me!
Beatrice. Partiamo.
Florindo. Oh questo no: non diamo segno di timore. State pur sul vostro decoro, e non dubitate.
Beatrice. (Mancava questo impedimento alla mia partenza). (da sé)
SCENA XI.
Lelio e detti.
Lelio. Bellissima Veneziana, ho risaputo dal vetturino che voi bramate ritornare alla vostra patria; se così è, fate capitale di me: vi darò calesse, cavalli, staffieri, lacchè, denari e quanto volete, purché mi concediate il piacere di accompagnarvi.
Beatrice. (Che sguaiato!) (da sé)