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618 | ATTO TERZO |
Silvio. Trovalo, e son qua io.
Clarice. Voi? Per far che? (a Silvio)
Silvio. Per un poco di dote.
Clarice. Non vi è bisogno di voi.
Smeraldina. (Ha paura che glielo mangino. Ci ha preso gusto). (da sè)
SCENA XVI.
Truffaldino e detti.
Truffaldino. Fazz reverenza a sti signori.
Beatrice. Il signor Florindo dov’è? (a Truffaldino)
Truffaldino. L’è qua, che el voria vegnir avanti, se i se contenta.
Beatrice. Vi contentate, signor Pantalone, che passi il signor Florindo?
Pantalone. Xelo l’amigo sì fatto? (a Beatrice)
Beatrice. Sì, il mio sposo.
Pantalone. Che el resta servido.
Beatrice. Fa che passi. (a Truffaldino)
Truffaldino. Zovenotta, ve reverisso. (a Smeraldina, piano)
Smeraldina. Addio, morettino. (piano a Truffaldino)
Truffaldino. Parleremo. (come sopra)
Smeraldina. Di che? (come sopra)
Truffaldino. Se volessi. (fa cenno di dargli l’anello, come sopra)
Smeraldina. Perchè no? (come sopra)
Truffaldino. Parleremo. (come sopra e parte)
Smeraldina. Signora padrona, con licenza di questi signori, vorrei pregarla di una carità. (a Clarice)
Clarice. Che cosa vuoi? (tirandosi in disparte per ascoltarla)
Smeraldina. (Anch’io sono una povera giovine, che cerco di collocarmi: vi è il servitore della signora Beatrice che mi vorrebbe; s’ella dicesse una parola alla sua padrona, che si contentasse ch’ei mi prendesse, spererei di fare la mia fortuna). (piano a Clarice)