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614 | ATTO TERZO |
Truffaldino. El vegnirà sto baron. E cussì, sior patron, voria domandarghe sta gréizia.
Florindo. Che cosa vuoi?
Truffaldino. Anca mi, poverin, son innamorado.
Florindo. Sei innamorato?
Truffaldino. Signor sì; e la me morosa l’è la serva de sior Pantalon; e voria mo che Vussioria...
Florindo. Come c’entro io?
Truffaldino. Oh, no digo che la ghe intra; ma essendo mi el so servitor, che la disess una parola per mi al sior Pantalon.
Florindo. Bisogna vedere se la ragazza ti vuole.
Truffaldino. La ragazza me vol. Basta una parola al sior Pantalon; la prego de sta carità.
Florindo. Sì, lo farò; ma come la manterrai la moglie?
Truffaldino. Farò quel che poderò. Me raccomanderò a Pasqual.
Florindo. Raccomandati a un poco più di giudizio. (entra in camera)
Truffaldino. Se non fazzo giudizio sta volta, no lo fazzo mai più. (entra in camera, dietro a Florindo)
SCENA XIII.
Camera in casa di Pantalone.
Pantalone, il Dottore, Clarice, Silvio, Smeraldina.
Pantalone. Via, Clarice, non esser cussì ustinada. Ti vedi che l’è pentio sior Silvio, che el te domanda perdon; se l’ha dà in qualche debolezza, el l’ha fatto per amor; anca mi gh’ho perdona i strambezzi, ti ghe li ha da perdonar anca ti.
Silvio. Misurate dalla vostra pena la mia, signora Clarice, e tanto più assicuratevi che vi amo davvero, quanto più il timore di perdervi mi aveva reso furioso. Il cielo ci vuol felici, non vi rendete ingrata alle beneficenze del cielo. Coll’immagine della vendetta non funestate il più bel giorno di nostra vita.
Dottore. Alle preghiere di mio figliuolo aggiungo le mie. Signora