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lasciarmi erede. Ho trovato, proseguì dicendo, ho trovato ne’ fogli, ch’io aveva un debito con quel galani’uomo di vostro Avo di trecento scudi di Modona. Mi sovviene d’avergliene dati a conto, ma non mi sovviene la somma. Se voi voleste ricevere cento scudi...... io dissi di sì senza dargli tempo di terminare. Aspettate, mi disse, non ho finito di dire. Può essere che questi cento scudi sieno di più di quel ch’io devo, e può essere che siano di meno. Fatemi il piacere di scrivere a vostro Padre.... quì cominciai un poco a turbarmi. Ma, soggiunse, facciamo così, perchè in questo tempo potrei morire. Ricevete voi questi cento scudi..... l’ascoltai con grande attenzione. Riceveteli, e fatemi una ricevuta per saldo di tutto quello, che io dovessi..... Sì Signore, sì Signore, gridai, è giusto, ben volentieri. Voi poscia, soggiunse egli, scriverete al Sig. Giulio, e gli scriverò anch’io, e spero che accorderà il fatto, e confermerà la quietanza, che voi mi farete. Senz’alcun dubbio, risposi, senza alcun dubbio. Ed eccolo, che mi conta in belli e grossi filippi cento scudi di Modona, che sono quattrocento lire di Venezia. Mi sovviene ancora, che facendo la ricevuta mi tremava la mano, parte per l’allegrezza di intascar il danaro, parte per la paura ch’ei si pentisse, tenendo sempre un occhio alla carta, su cui scriveva, e l’altro ai filippi, ch’egli contava. Finalmente i filippi passarono nelle mie mani, feci i miei complimenti all’onoratissimo Consigliere; partii contento, scesi la scala a due gradini per volta, consumai il resto della giornata passeggiando per la Città, e la mattina dopo avviatomi per Pavia, vi giunsi felicemente la sera.

Passai colà con piacere, e dirò anche con qualche maggior profitto, questo secondo anno. Feci qualche progresso nello studio legale, con poca fatica, egli è vero, ma eccitato da una certa facilità naturale, di cui poteva fidarmi. Non potendo esercitarmi in allora nello studio delle Commedie, mi diedi a quello della Poesia. Non sono mai stato bravo Poeta, ma ho sempre avuto dell’estro, dell’immaginazione e della vivacità. Tutti quei che si addottoravano in quel tempo in quella Università, ricorrevano a me per aver dei Sonetti di lode, ed io profondea le rime e le lodi egual-

mente.