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IL SERVITORE DI DUE PADRONI 567


Clarice. Eh, non vorrei...

Beatrice. Avete paura ch’io non sia donna? Vi darò evidenti prove della verità.

Clarice. Credetemi, ancora mi pare un sogno.

Beatrice. Infatti la cosa non è ordinaria.

Clarice. E stravagantissima.

Beatrice. Orsù, io me ne voglio andare. Tocchiamoci la mano in segno di buona amicizia e di fedeltà.

Clarice. Ecco la mano, non ho nessun dubbio che m’inganniate.

SCENA XXI.

Pantalone e dette.

Pantalone. Bravi! Me ne rallegro infinitamente. Fia mia, ti t’ha giustà molto presto. (a Clarice)

Beatrice. Non vel dissi, signor Pantalone, ch’io l’avrei placata?

Pantalone. Bravo! Avè fatto più vu in quattro minuti, che no averave fatto mi in quattr’anni.

Clarice. (Ora sono in un laberinto maggiore). (da sè)

Pantalone. Donca stabiliremo presto sto matrimonio. (a Clarice)

Clarice. Non abbiate tanta fretta, signore.

Pantalone. Come! Se se tocca le manine in scondon e non ho d’aver pressa? No, no, no voggio che me succeda desgrazie. Doman se farà tutto.

Beatrice. Sarà necessario, signor Pantalone, che prima accomodiamo le nostre partite, che vediamo il nostro conteggio.

Pantalone. Faremo tutto. Queste le xe cosse che le se fa in do ore. Doman daremo l’anello.

Clarice. Deh, signor padre...

Pantalone. Siora fia, vago in sto ponto a dir le parole a sior Silvio.

Clarice. Non lo irritate per amor del cielo.

Pantalone. Coss’è? Che ne vustu do?

Clarice. Non dico questo. Ma...