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558 | ATTO PRIMO |
Truffaldino. Tolì pur. Me preme de servir l’amigo.
Florindo. (Che vedo? Una lettera diretta a Beatrice Rasponi? A Beatrice Rasponi in Venezia!) (da sè)
Truffaldino. L’avì trovada quella del me camerada?
Florindo. Chi è questo tuo camerata, che ti ha dato una tale incombenza?
Truffaldino. L’è un servitor... che gh’ha nome Pasqual.
Florindo. Chi serve costui?
Truffaldino. Mi no lo so, signor.
Florindo. Ma se ti ha detto di cercar le lettere del suo padrone, ti avrà dato il nome.
Truffaldino. Naturalmente. (L’imbroio cresse). (da sè)
Florindo. Ebbene, che nome ti ha dato?
Truffaldino. No me l’arecordo.
Florindo. Come!...
Truffaldino. El me l’ha scritto su un pezzo de carta.
Florindo. E dov’è la carta?
Truffaldino. L’ho lassada alla Posta.
Florindo. (Io sono in un mare di confusioni). (da sè)
Truffaldino. (Me vado inzegnando alla meio). (da sè)
Florindo. Dove sta di casa questo Pasquale?
Truffaldino. No lo so in verità.
Florindo. Come potrai ricapitargli la lettera?
Truffaldino. El m’ha dito che se vederemo in piazza.
Florindo. (Io non so che pensare). (da sè)
Truffaldino. (Se la porto fora netta, l’è un miracolo). (da sè) La me favorissa quella lettera, che vedere de trovarlo.
Florindo. No, questa lettera voglio aprirla.
Truffaldino. Oibò; no la fazza sta cossa. La sa pur, che pena gh’è a avrir le lettere.
Florindo. Tant’è, questa lettera m’interessa troppo. E diretta a persona, che mi appartiene per qualche titolo. Senza scrupolo la posso aprire. (l'apre)
Truffaldino. (Schiavo siori. El l’ha fatta). (da sè)