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552 | ATTO PRIMO |
Truffaldino. Son arrivà stamattina, signor.
Florindo. Orsù; mi parete un uomo da bene. Vi proverò.
Truffaldino. La me prova e la vederà.
Florindo. Prima d’ogni altra cosa, mi preme vedere se alla Posta vi siano lettere per me. Eccovi mezzo scudo; andate alla Posta di Torino, domandate se vi sono lettere di Florindo Aretusi; se ve ne sono, prendetele e portatele subito, che vi aspetto.
Truffaldino. Intanto la fazza parecchiar da disnar.
Florindo. Sì, bravo, farò preparare. (È faceto; non mi dispiace. A poco alla volta ne farò la prova). (entra nella locanda)
SCENA IX.
Truffaldino, poi Beatrice da uomo e Brighella.
Truffaldino. Un soldo al zomo de più, i è trenta soldi al mese; no l’è gnanca vero che quell’alter me daga un felippo; el me dà diese pauli. Poi esser che diese pauli i fazza un felippo,1 ma mi nol so de seguro. E po quel sior Turinese nol vedo più. L’è un matto. L’è un zovenotto, che no gh’ha barba e no gh’ha giudizio. Lassemolo andar; andemo alla Posta per sto sior... (vuol partire ed incontra Beatrice)
Beatrice. Bravissimo. Così mi aspetti?
Truffaldino. Son qua, signor. V’aspetto ancora.
Beatrice. E perchè vieni a aspettarmi qui, e non nella strada dove ti ho detto? È un accidente che ti abbia ritrovato.
Truffaldino. Ho spasseggià un pochetto, perchè me passasse la fane.
Beatrice. Orsù, va in questo momento alla barca del corriere. Fatti consegnare il mio baule e portalo alla locanda di messer Brighella...
Brighella. Eccola là la mia locanda; nol pol falar.
Beatrice. Bene dunque, sbrigati, che ti aspetto.
Truffaldino. (Diavolo! In quella locanda!) (da sè)
- ↑ Vedi nota (a), a pag. 481.