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IL SERVITORE DI DUE PADRONI 547


Pantalone. Volentiera; la servirò. Adesso no gh’è el Cassier. Subito che el vien, ghe manderò i bezzi fina a casa. No vala a star da mio compare Brighella?

Beatrice. Certamente, vado da lui; e poi manderò il mio servitore; egli è fidatissimo, gli si può fidar ogni cosa.

Pantalone. Benissimo; la servirò come la comanda, e se la vol restar da mi a far penitenza, la xe parona.

Beatrice. Per oggi vi ringrazio. Un’altra volta sarò a incomodarvi.

Pantalone. Donca starò attendendola.

Servitore. Signore, è domandato. (a Pantalone)

Pantalone. Da chi?

Servitore. Di là... non saprei... (Vi sono degl’imbrogli). (piano a Pantalone)

Pantalone. Vegno subito. Con so bona grazia. La scusa, se no la compagno. Brighella, vu sè de casa; servilo vu sior Federigo.

Beatrice. Non vi prendete pena per me.

Pantalone. Bisogna che vaga. A bon reverirla. (Non voria che nassesse1 qualche diavolezzo.) (da sè, e parte)

SCENA V.

Beatrice e Brighella.


Brighella. Se pol saver, siora Beatrice?...

Beatrice. Chetatevi, per amor del cielo, non mi scoprite. Il povero mio fratello è morto, ed è rimasto ucciso o dalle mani di Florindo Aretusi, o da alcun altro per di lui cagione. Vi sovverrete che Florindo mi amava, e mio fratello non voleva che io gli corrispondessi. Si attaccarono non so come: Federigo mori, e Florindo, per timore della giustizia, se n’è fuggito senza potermi dare un addio. Sa il cielo se mi dispiace la morte del povero mio fratello, e quanto ho pianto per sua cagione; ma oramai non vi è più rimedio, e mi duole la perdita di Florindo.

  1. Savioli stampa: nascesse; e nella sc. XIII: cresce.