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L’AUTORE

A CHI LEGGE.


T

ROVERAI, Lettor carissimo, la presente Commedia diversa moltissimo dall’altre mie, che lette avrai finora1. Ella non è di carattere, se non se carattere considerare si voglia quello del Truffaldino, che un Servidore sciocco ed astuto nel medesimo tempo ci rappresenta: sciocco cioè in quelle cose le quali impensatamente e senza studio egli opera, ma accortissimo allora quando l’interesse e la malizia l’addestrano, che è il vero carattere del villano.

Ella può chiamarsi piuttosto Commedia giocosa, perchè di essa il giuoco di Truffaldino forma la maggior parte. Rassomiglia moltissimo alle Commedie usuali degl’Istrioni, se non che scevra mi pare ella sia da tutte quelle improprietà grossolane, che nel mio Teatro Comico ho condannate, e che dal Mondo sono oramai generalmente aborrite.

Improprietà potrebbe parere agli scrupolosi, che Truffaldino mantegna l’equivoco della doppia sua servitù, anche in faccia dei due Padroni medesimi, soltanto per questo, perchè niuno di essi lo chiama mai col suo nome; che se una volta sola, o Florindo, o Beatrice, nell’Atto Terzo, dicessero Truffaldino, in luogo di dir sempre il mio Servitore, l’equivoco sarebbe sciolto e la Commedia sarebbe allora terminata. Ma di questi equivoci, sostenuti dall’arte dell’Inventore, ne sono piene le Commedie non solo, ma le Tragedie ancora; e quantunque io m’ingegni d’essere osservante del verisimile in una Commedia giocosa: credo che qualche cosa, che non sia impossibile, si possa facilitare.

Sembrerà a taluno ancora, che troppa distanza siavi dalla sciocchezza all’astuzia di Truffaldino; per esempio: lacerare una cambiale per disegnare la scalcherìa di una tavola, pare l’eccesso della goffaggine. Servire a due Padroni, in due camere, nello stesso

  1. L'autore scrive ciò nel t. III dell'ed. Paperini.