Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
515 |
la digressione, anzi la più che necessarissima mia giustificazione. Il mio poema in lode della bellezza sarà un
MADRIGALE.
Oh, dall’architettante alto Architetto
Splendentissimamente a noi profusa.
De’ due gran luminari esempio vivo.
Parlo teco, beltà, che il torvo aspetto
Puoi1 dispetrar della petrea Medusa,
Di terracquea magion confortativo.
Ah, che contemplativo
De’ raggi tuoi nel fiammeggiante spaccio
M’incatacombo, m’inabisso, e taccio.
(Tutti lodano e ridono)
Dottore. Il signor Flamminio dice nulla?
Isabella. Dirò per compiacervi un sonetto. Sarà questo opposto al sentimento del signor Lelio, mentre egli ha preteso lodar la bellezza, ed io dimostro la sua caducità.
SONETTO.
Seren di Gel, che in balen s’oscura.
Onda di mar, che un sol momento ha vita,
Alba, che in apparir tosto è sparita,
Ombra, ch’esser fugace ha per natura;
Neve, ch’ai rai del caldo sol non dura,
Spuma, che a un soffio nasce ed è svanita.
Polve, che a un soffio d’aura erra smarrita.
Aura, che in un momento a noi si fura;
Lampo, che mentre splende, allor2 s’annulla,
Fior, che perde in un dì la sua vaghezza,
Sol, che trova in un dì feretro e culla;