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LA DONNA DI GARBO 493


in questo punto, alla presenza de’ miei figliuoli e di tutti questi signori, non più per verba de futuro, ma per verba de præsenti, son pronto a darvi la mano ed a sposarvi.

Florindo. (Stelle! che sento!) (da sè)

Lelio. Male si accoppieranno le vostre nevicanti canizie coll’igneo bollente sangue di una effervescente pulcella.

Dottore. Signore, in questo lasci pensare a me.

Rosaura. Confesso ch’io non merito l’onore che voi mi fate. Più indegna però me ne renderei, se avessi la viltà di ricusarlo. Disponete dunque di me e del mio cuore. Sono vostra, se mi volete. (Florindo si cangia di colore). (da sè)

Dottore. Signori, abbiano la bontà di servire per testimoni. Rosaura ora sarà mia moglie. Venite cara, datemi la vostra mano.

Rosaura. (Florindo smania). (da sè) Eccola.

Florindo. (s’alza) Signor padre, fermatevi. Non sia mai vero, ch’io soffra l’esecuzione di un tal matrimonio.

Dottore. Come? Perchè? Spiegati; che obbietti puoi addurre per dissuadermi?

Florindo. Mille ne posso addurre. La vostra età, la sua condizione, il pregiudizio della vostra famiglia, il pericolo della vostra vita, le derisioni de’ vostri amici, la vostra estimazione e poi quello ch’io taccio, ma che pur troppo a Rosaura è palese.

Dottore. Di tutto quello che hai detto, non ne fo caso; mi rende ombra quel che tu taci; parla dunque e levami di1 ogni sospetto.

Florindo. Voi non potete, voi non dovete sposare Rosaura. Tanto vi basti; non posso dirvi di più.

Rosaura. Signore, vostro figlio offende l’onor mio; egli vuol farmi credere indegna di voi per colpa mia, il che non è vero; fatelo parlare, altrimenti alla presenza di tutti lo dichiaro per mentitore.

Florindo. (Che laberinto è mai questo! Se non vi fosse Isabella, parlerei con più di libertà), (da sè) Signore, licenziamo la conversazione; tra voi e me2 dirovvi ogni cosa.

Rosaura. Come! Mi meraviglio. In pubblico avete offesa la mia

  1. Bettin.: da.
  2. Bettin.: da voi a me.