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LA DONNA DI GARBO 469


virtuosa. (Così era la mia Rosaura in Pavia. Povera ragazza! come l'ho abbandonata!) (da sè)

Dottore. La voglio andar a chiamare; voglio che tu veda, se dico la verità.

Florindo. Andate, che avrò piacere.

Dottore. Ma è savia e modesta. Non creder già... basta, c’intendiamo.

Florindo. Eh, non occorr’altro.

Dottore. (Florindo avrà giudizio. Rosaura la voglio per me). (da sè, e parte)

SCENA X.

Florindo, Beatrice, Lelio, Diana e Isabella.

Isabella. (Signor Florindo, questa donna sì virtuosa non mi piace). (piano a Florindo)

Florindo. (Su via, signora Isabella, cominciate a tormentarmi con la gelosia). (piano a Isabella)

Beatrice. Signor cognato, se mi date licenza, mi ritiro nella mia camera.

Florindo. Prendete il vostro comodo.

Beatrice. A buon rivederci questa sera.

Florindo. Signor cavaliere, perchè non servite madama? (a Lelio)

Lelio. Temo di essere soverchiamente ardito.

Florindo. Eh, signore, il gran mondo pensa diversamente. Andate, andate; al braccio, al braccio; e voi, signora, lasciatevi servire. Il platonismo è già in uso; oggi tutto il mondo è Parigi.

Lelio. Dunque, se madama il permette...

Beatrice. Quando il signor cognato l’approva...

Florindo. Non solo l'approvo con un pro maiori, ma amplissime atque solemniter.

Beatrice. Nuovamente la riverisco.

Lelio. A lei m’inchino.

Florindo. Salvete, amici, salvete.

Lelio. Che degno scolare! (parte, dando braccio a Beatrice)