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LA DONNA DI GARBO | 463 |
Lelio. In mezzo all’ire siete ancor bella.
Beatrice. Mi adulate, e pur mi piacete.
Lelio. Sono ingenuo, sono sincero.
Beatrice. Proseguiamo, se pur v’aggrada.
Lelio. Anzi. Asso a sei marche.
Beatrice. Asso perde. Sarà fortunato in amore.
Lelio. Ah! lo volesse Cupido.
Diana. Signora cognata, dov’è Rosaura?
Beatrice. Sarà nella camera dov’io dormo.
Lelio. È questa la dignissima vostra cognata?
Beatrice. Sì, signore.
Diana. Per servirla.
Lelio. (s’alza) La concomitanza della vostra persona colla signora cognata mi obbliga ad attestarvi quella esuberanza d’inestimabile stima, con cui riverentissimamente vi riverisco1.
Diana. La ringrazio, e gli son serva. (Mi pare un pazzo costui). (da sè)
Beatrice. Se volete Rosaura, ora la chiamerò.
Diana. Mi farete piacere.
Beatrice. Ehi, Rosaura.
SCENA VI.
Rosaura e detti.
Rosaura. Eccomi a’ vostri cenni.
Beatrice. La signora Diana ti vuol parlare.
Rosaura. Son a lei. Come va il gioco, signori?
Lelio. Sinora la sorte fa giustizia al merito di madama. Io perdo.
Rosaura. (Il demonio lo può far perdere, ma non pagar certamente). (da sè) Che cosa mi comanda la signora Diana?
Diana. Non ti ho più veduta; ecco la lettera. Come abbiamo a fare a darle recapito2?
Rosaura. Datemela, e lasciate fare a me. (piano)
- ↑ Bettin. e Paper.: La concomitanza, che tiene la vostra venerabile nobiltà colla signora tre e quattro volte da me riverita, vostra più che meritevole ed imparagonabile cognata, mi obbliga ad attestarvi quella esuberanza d’inestimabile stima con cui riverentissimamente vi riverisco.
- ↑ Bettin. e Paper.: a darle ricapito al signor Momolo?