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LA DONNA DI GARBO | 453 |
Momolo. E in che maniera!
Rosaura. Hoggio aria da Veneziana? (passeggia)
Momolo. Vardè che vita! Vardè1 che penin! Oh benedetta!
Rosaura. Oe, se volè che femo negozio...
Momolo. Comuodoa? Comandè.
Rosaura. Eh sì, ma de mi no ve degnerè: daresto... Basta... Caro quel Momolo.
Momolo. Ah, v’ho capio; se volè una scritturetta, ve la fazzo subito.
Rosaura. Pettevelab la vostra scrittura; a mi me piase le cose preste.
Momolo. E l’impegno che gh’ho colla siora Diana?
Rosaura. Oh oh, mi vien da ridere. Uno scolare ha riguardo a mancar di parola!
Momolo. Sappiè che i Veneziani i xe galantomeni.
Rosaura. Sì, lo so benissimo, ma in queste cose i Veneziani ancora sogliono facilitare.
Momolo. Sentì: non saria gnanca fora de proposito.
Rosaura. Dirò come si suol dire a Venezia: Se me volè, feme domandar.
Momolo. Che cadec? Giustemose tra de nu.
Rosaura. Cussì su do pie?
Momolo. Siben: che difficoltà gh’aveu?
Rosaura. E pò?
Momolo. Dopo el Po, vien l’Adesed.
Rosaura. Me fareu el ballo dell’impiantone?
Momolo. Son un galantomo.
Rosaura. Tasè, che se i lo sa, i ve impicca.
Momolo. Orsù cossa resolveu?
Rosaura. Voggio pensarghe un poco.
- ↑ Bettin.: varè.