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392 ATTO SECONDO


Marcone. Non signore. L’ho avuto dal signor Pantalone e a lui ho contato settantacinque zecchini.

Leandro. Cinquanta braccia di quel broccato a tre filippi il braccio? Con che coscienza lo prendereste?

Marcone. Cosa mi andate voi discorrendo? L’ho preso da un mercante; se non me lo avesse potuto dare, non me lo averebbe dato. Egli ha avuto il danaro, ed io mi porto meco la mercanzia; sono un galantuomo, e voi, se siete di ciò malcontento, lamentatevi di vostro padre. (parte)

SCENA XVII.

Leandro e il Dottore.

Leandro. Sentite, signor Dottore? Mio padre continua a precipitare i negozi come ha sempre fatto.

Dottore. E vi è di peggio ancora. Tengo persone all’erta per sapere i suoi andamenti; e so ch’egli è stato a fare una lunga visita alla signora Clarice.

Leandro. Possibile che ciò sia vero?

Dottore. Che volete di più? La locanda è dirimpetto alla nostra casa. L'hanno veduto entrare ed uscire mia figlia e la serva.

Leandro. Ora capisco dove voleva esitare le pezze di broccato, che mi mandò a chiedere.

Dottore. E vi dirò ancora di peggio. So che ha parlato con de’ suonatori per una festa di ballo.

Leandro. Povero me! Sono assassinato.

Dottore. Convien trovarvi rimedio. Sin ora negli accomodamenti ho avuto riguardo al suo decoro, da qui in avanti penserò soltanto all’interesse vostro: povero innocente sagrificato!

Leandro. Venero e rispetto mio padre, ma la sua condotta ci vuol ridurre un’altra volta agli estremi. (parte)

Dottore. Vi rimedierò io; chi non ha fede, non merita compassione. (parte)

Fine dell’Atto secondo.