Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1907, I.djvu/440

386 ATTO SECONDO


Carissimo signor Padre.

Delle pezze di ganzo che vi erano, la più bella l’ha voluta per sè la vostra signora consorte. Le altre le ho poste in salvo, perchè non periscano, e penso di barattarle. Ho venduto le Peruviane e quella ancora che avete mandato, ricuperata dalle mani del Conte.

Pantalone. (Stago fresco da galantomo). (da sè)

Clarice. Ecco il bell’abito che mi farà il signor Pantalone. Già il cuore me lo diceva, ho perduto quello che aveva, ed ora sono senza dell’uno e senza dell’altro.

Pantalone. Mia muggier s’ha tolto una pezza de ganzo? La me ne renderà conto. Farò che la lo metta fora e ve lo manderò avanti sera.

Clarice. No, no, non voglio entrare in impegno con vostra moglie. Ciò potrebbe farmi perdere la riputazione presso di lei e presso del mondo. Pazienza! Farò di meno e imparerò in avvenire a fidarmi poco delle promesse degli uomini.

Pantalone. Vu me mortifichè senza rason.

Clarice. Non ho ragione di lamentarmi? Che dirà il signor conte? Come potrò giustificarmi con lui della mala azione che per causa vostra gli ho fatto?

Pantalone. Ghe remedieremo.

Clarice. Eh, non vi è altro rimedio che dirgli che voi mi avete sedotta...

Pantalone. Cussì me volè trattar?

Clarice. Compatitemi, è grande la passione di aver perduto un vestito in tempo che ne ho bisogno.

Pantalone. No son capace de farvene un altro?

Clarice. Non so di che cosa siate capace. Vedo ora il bel frutto delle vostre lusinghe.

Pantalone. L’hoggio fatto fursi per lusingarve?

Clarice. Se diceste davvero, non mi avreste fatto perdere il certo per l’incerto.