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LA BANCAROTTA | 385 |
Pantalone. Cara fia, me despiase anca mi. Ma da sior conte no gh’ave d’andar.
Clarice. Per farmi comparir bene coi miei patrioti, non potrebbe supplire il signor Pantalone? Delle feste e delle cene me ne ha date ancora; non mi potrebbe favorir questa sera?
Pantalone. Lo faria volentiera. Ma adesso gh’ho i mii riguardi.
Clarice. Che sia vero quel che hanno detto?
Pantalone. Cossa hali dito?
Clarice. Che il signor Pantalone non comanda più, non maneggia più, non è padrone di spendere, neè di cavarsi una soddisfazione?
Pantalone. No xe vero gnente. Son patron mi, comando mi, posso spender a modo mio, e che sia la verità, stassera gh’averè la cena e la festa da ballo.
Clarice. Davvero, vi sarò tanto obbligata e avrò piacere per voi, acciò si smentiscano le lingue dei maldicenti.
Pantalone. Son quel che giera e sarò sempre a vostra disposizion. Che xe sta in casa un poco de borrasca, ma ho butta l’àncora a fondi e me son defeso.
SCENA XII.
Il Servitore di Clarice e detti.
Servitore. Son qui colla risposta.
Clarice. Dov’è la roba? (al Servitore)
Servitore. Io non ho altra roba che questo pezzo di carta.
Pantalone. No i v’ha dà delle pezze de ganzo? No xe vegnù co vu nissun de bottega?
Servitore. Non c’è nessuno con me, e il ganzo non l’ho veduto.
Pantalone. Mio fio ghe gerelo?
Servitore. Questa polizza l’ha scritta egli stesso.
Pantalone. Cossa diselo? (vuol aprire)
Clarice. A me, a me; voglio leggerla io. (prende la carta)