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LA BANCAROTTA 383


Clarice. Eccovi il calamaio e la carta.

Pantalone. Scrivo do righe, e spero che sarè consolada. (si pone a scrivere)

Clarice. (Veramente, se il signor Pantalone ritorna com’era prima, mi giova più la di lui amicizia; è più splendido, è più generoso, e poi presso la gente del mondo un vecchio dà meno di osservazione). (da sè)

Pantalone. Ho sentio. Sentì quel che scrivo a mio fio.

Carissimo figlio.

Mi è riuscito ricuperare la Peruviana, carpita dal signor Conte, e la rimando a bottega. In compagnia del datore della presente, mandatemi per un garzone le quattro pezze di ganzo, perchè ho un’occasione di esitarne a pronti contanti.

Clarice. Perchè avete detto a pronti contanti?

Pantalone. Digo cussì con mio fio, perchè no voggio che el sappia i fatti mii. Chiame el servitor. Demoghe sto drappo e che el porta i ganzi d’oro e d’arzento, che ve scieglierè quello che più ve piase.

Clarice. Ho da rimandar questo? e se non manda le pezze di ganzo, ho da restar senza?

Pantalone. Fideve de mi, no abbiè paura.

Clarice. Lo farò per compiacervi; (ma lo faccio mal volentieri). (da sè)

Pantalone. Tanto più me impegnè a far per vu tutto quello che poderò far.

Clarice. Vado subito a consegnar al servitore il drappo e la lettera. (Arrischio dieci per aver trenta; non mi par cattivo negozio). (da sè, indi parte portando seco la stoffa e il viglietto)

SCENA XI.

Pantalone, poi Clarice,

Pantalone. Voggio farghela veder a sto sior conte. Sior sì, un abito de ganzo per farghe despetto. E che l’impara a donar