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LA BANCAROTTA 367


Dottore. Non gli servono per questa sera? Questa sera si troveranno.

Aurelia. E non è lo stesso che io aspetti a sottoscrivere questa sera?

Dottore. Non è lo stesso. Senza di questa carta non si può far argine al torrente dei creditori. Se questi s’impossessano dei beni di suo marito, tutto va in confusione, e dote e mobili e vestiti e gioie; a rivocare gli atti seguiti vi vorranno dei mesi, ed ella resterà senza il denaro, senza la roba, e senza il modo di vivere e di comparire.

Aurelia. Quand’è così, sottoscrivo subito.

Dottore. (Ho trovato il modo di spaventarla). (da sè)

Aurelia. E le mie gioie si riscuoteranno?

Dottore. Si riscuoteranno le sue gioie. Scriva il suo nome.

Aurelia. E voglio una mesata di dieci zecchini al mese.

Dottore. Sì l’avrà; sottoscriva.

Aurelia. Ed essere padrona della mia dote.

Dottore. Ci s’intende. Via, si solleciti.

Aurelia. E che mio marito non abbia a rimproverarmi.

Dottore. (O pazienza, non abbandonarmi!) (da sè) Il signor Pantalone non parlerà.

Aurelia. E che Leandro non sia padrone di niente, e che io sola comandi, e che sempre possa io dire d’aver rimesso la casa col mio.

Dottore. Tutto vero, si farà come vuole, si dirà quel che vuole. Sottoscriva.

Aurelia. Io Aurelia... Mi promettete voi tutte queste cose?

Dottore. Sì, signora, prometto io.

Aurelia. Io Aurelia Bisognosi affermo.

Dottore. Sia ringraziato il cielo.

Aurelia. E che innanzi sera...

Dottore. Innanzi sera ci vedremo. (prende il foglio) Mi lasci sollecitare quel che più preme. Si fidi di me, ed intanto a conto di quello ch’ella pretende, riceva quest’utile avvertimento: le donne ambiziose rovinano le famiglie. Un’economa come lei, non le può far che del bene. (parte)