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366 ATTO PRIMO


casa, ed eccolo miseramente sagrificato in roba, che adoperata un giorno, perde subito la metà del valore, e in poco tempo diviene antica e non vale la quinta parte del prezzo. A proporzione degli abiti, mi figuro quel che saranno le gioie, ed ecco come gli uomini si rovinano, come i mariti si lasciano mal condurre, come i mercanti per causa delle loro mogli falliscono.

Aurelia. Poteva il signor Dottore risparmiarsi l’incomodo di una stucchevole moralità, e per non maggiormente infastidire nè lui, ne me, possiamo lacerar questa carta, (vuole stracciar la procura)

Dottore. No, la si fermi, non tanto caldo. Ho detto così per un modo di dire. Ella è padrona di far del suo quel che vuole. Sottoscriva il foglio e non ne parliamo più d’avvantaggio.

Aurelia. Prima di sottoscrivere voglio i danari per la riscossione dei pegni.

Dottore. Non è la sua premura per comparir questa sera?

Aurelia. Sì, signore.

Dottore. Bene, per questa sera si può riscuotere uno di questi vestiti, quello che più le aggrada.

Aurelia. Questo non si può fare. Il pegno si è fatto in una sola volta, e si dee riscuotere tutto insieme.

Dottore. Mi perdoni il mio ardire, che cosa ha ella fatto di trecento ducati in una volta?

Aurelia. Ho fatto... ho fatto... li ho impiegati per la riputazione della famiglia.

Dottore. Sarebbe mai ciò seguito due mesi sono, allora quando si disse ch’ella aveva perduto al giuoco cento zecchini sulla parola?

Aurelia. Quando li avessi perduti, era necessario che li pagassi, e non si doveva lasciar esposta la riputazione della casa.

Dottore. Certo il signor Pantalone deve essere obbligato alla moglie, che ha a cuore la sua riputazione! (con ironia)

Aurelia. Ecco qui, per la stessa ragione mi pongo a rischio, sottoscrivendo un foglio, di perdere la mia dote.

Dottore. Via dunque; faccia l’atto eroico come va fatto; stenda qui la sua firma.

Aurelia. La stenderò se vi saranno i trecento ducati.