Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1907, I.djvu/410

356 ATTO PRIMO


mento; spero che ritornerete in istato di una mediocre fortuna, e quando tutto perisse, o sarò vostra, o non sarò di nessuno.

Leandro. Oh fedelissima amante! Oh specchio della più esemplare costanza!...

Vittoria. Veggo venir alcuno da quella parte. Non ho piacere di esser veduta. Consolatevi: serenate il vostro animo. Sperate bene; amatemi e siate certo dell’amor mio.

Leandro. Sì, mia cara, sarò lieto in grazia della vostra bontà.

Vittoria. Addio, signor Leandro. Procurate veder mio padre e venite da noi, quando egli sia in casa. (si ritira)

SCENA IX.

Leandro solo.

Piacemi l’onesto costume di non volermi in casa senza del padre. Non credo che ciò si pratichi ai giorni nostri comunemente, e pur dovrebbesi praticare per evitare gli scandali e le dicerie della gente. Chi mai avrebbe creduto che tanta fedeltà, che tanto amore nutrisse per me questa giovane veramente da bene? Oh Vittoria, tu sei una cosa rara nel nostro secolo. Poco mi ha levato la sorte, privandomi delle mie sostanze, se nel tuo bellissimo cuore mi resta il più bel tesoro del mondo. (parte)

SCENA X.

Camera in casa di Pantalone.

Pantalone solo. Passeggia alquanto pensoso, poi si pone a sedere.

E per questo m’hoggio da andar a negar? Se son falio, saroggio solo? Gh’averò dei collega de quei pochi. Cossa se pol far? Me consolo almanco che i mi bezzi no i me xe stai magnai, no i me xe stai portai via, el mar no me li ha fatti perder. I ho godesti, i ho spesi e ho fatto goder i amici. Mi adesso stago da re. I mi beni xe tutti sequestrai, la meggio roba xe