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L’AUTORE
A CHI LEGGE.
(Tomo IV)
AZIONE rappresentata nel primo Rame di questo Tomo, ed il verso d’Ovidio sottoposto al disegno, vuol dire ch’io era costretto a studiare e a difendere la scolastica Filosofia; ma un’altra Filosofia più certa, più piacevole e meno oscura formava internamente la mia delizia. Credo che utili sieno le scuole, che ammaestrano in tal materia, credo ottimo il sistema, che vi si osserva, non ardirei di parlare in contrario, ma in quanto a me posso dir certamente, che da tali scuole e da un tale metodo ho approfittato pochissimo. Eppure senza la scorta della Filosofia non avrei potuto intraprendere l’arte delle Commedie, nè scandagliar le passioni, nè argomentare sulla condotta degli uomini, nè penetrare nel cuore umano. Qual è dunque la Filosofia, di cui mi sono servito? Quella che abbiamo impressa nell’anima, quella che dalla ragione ci viene insegnata, quella che dalla lettura e dalle osservazioni si perfeziona; quella in fine che dalla vera Poesia deriva, non già dalla bassa Poesia, che chiamasi versificazione, ma dalla sublime, che consiste nell’immaginare, nell’inventare e nel vestire le favole di allegorie, di metafore e di misteri. Aristotile istesso lasciò scritto: la Poesia insegna la Filosofia, ma così dicendo non intese egli di parlare dell’oda, dell’elegia, e molto meno de’ nostri sonetti e delle nostre canzoni, che non erano nate ancora al suo tempo, ma della grande Poesia, consistente nell’Epopeja, nella Tragedia e nella Commedia, i quali componimenti, per essere perfettamente Poemi, non hanno bisogno dei versi, ma di quella elevazion di pensieri, chiamata da Orazio: quid divinum. Non pensar già, Lettor mio gentilissimo, ch’io presuma per questo di essere qualche cosa di grande. In tutti gli ordini, in tutte le facoltà si dà il più ed il meno. Il mio scarso talento non mi ha permesso di gir tant’alto, quanto il genio mio mi spronava, ma pure ho battuto anch’io
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