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348 ATTO PRIMO


minchion, e mi, che te cognosso, digo e sostegno che ti fa l’omo de garbo e che ti xe un galiotto de prima riga. (parte)

SCENA III.

Truffaldino, poi un Servitore.

Truffaldino. Poi esser che Brighella diga la verità. Ma se el cognosse che mi son furbo, bisogna che lu el sia più furbo de mi. Portemo sta lettera, e po ghe penseremo su meggio per l’avegnir. O de casa! (batte alla locanda)

Servitore. Chi domandate?

Truffaldino. Stala qua quella signora forestiera?

Servitore. La signora Clarice?

Truffaldino. Giusto la signora Clarice.

Servitore. Sta qui, ma ora non le si può parlare.

Truffaldino. Perchè? Dormela?

Servitore. Non dorme, ma ha delle visite, e non le si può parlare.

Truffaldino. Se poderave darghe una lettera?

Servitore. Datela a me, che la porterò alla sua camera.

Truffaldino. Bravo! ve dilettè anca vu de portar le lettere.

Servitore. Ditemi, siete voi servitore?

Truffaldino. Cussì e cussì; mezo e mezo. Garzon de bottega, una cossa simile.

Servitore. Che serve dunque far discorsi sul portar le lettere? Voi fate l’uffizio vostro, ch’io farò il mio. Datemi voi la lettera del padrone, che io la porterò alla padrona.

Truffaldino. Ecco la lettera. Cussì averemo fatto la fazzenda metà per omo.

Servitore. Quanto vi dona il padrone per una lettera che portate?

Truffaldino. Niente affatto.

Servitore. Io all’incontro, ogni lettera che porto alla padrona, mi dona un paolo e vado subito a guadagnarlo. (entra nella locanda)