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344 | ATTO PRIMO |
Silvio. Suo danno: doveva vivere secondo il suo stato. Ti ricordi quando quel presontuoso volea gareggiar meco nello spendere intomo alla signora Clarice?
Brighella. Me lo ricordo seguro1.
Silvio. Che pazzo! Si dava aria da gran signore; ecco il fine a cui si doveva condurre.
Brighella. Cossa vorla far? È pezo per elo: ma intanto, scodendo dove che l’ha da aver, el se pol in qualche conto aiutar. La ghe salda sto contarello.
Silvio. Non gli darei un tozzo di pane, se lo vedessi morir di fame. Ho troppa ira contro questa sorta di gente. Vogliono spacciarla da cavalieri. E poi? E poi falliscono.
Brighella. Poverazzo! l’ha dei crediti assae2.
Silvio. Tanto peggio. So che per farsi delle aderenze, per la vanità di essere trattato da pari miei, esibiva a tutti le sue robe a credito. Suo danno; mille volte suo danno.
Brighella. Ma, caro lustrissimo3 signor padron, la me permetta che parla, non4 in favor de Pantalon, ma pel decoro de Vussustrissima. Adesso se pubblicherà tutti i debiti e tutti i crediti de sto mercante, e no me par ben fatto che se veda che quell’abito, che la gh’ha intorno...
Silvio. Non più: questo modo di parlare degenera in petulanza. Si sa chi sono. Ecco il conto ch’io faccio di questa carta. (la straccia) L’onor della mia protezione paga bastantemente una partita di un bottegaio. (parte)
SCENA II.
Brighella, poi Truffaldino.
Brighella. Me despiase che coll’onor della so protezion el paga anca el me salario; ma mi me darò l'onor de piantarlo.
Truffaldino. Oh paesan, ho ben gusto d’averte trovà.
Brighella. Com’ela, Truffaldin? come va i negozi del to principal?