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308 | ATTO TERZO |
SCENA III.
Ottavio e detto.
Ottavio. Signor Momolo, vi ringrazio infinitamente di tutte le vostre finezze, compatite l’incomodo che vi ho recato, e preparatemi i vostri comandi.
Momolo. Coss’è? voleu andar via?
Ottavio. Mia sorella vuol partir questa sèsèra, e ora vado a fare allestire il burchiello.
Momolo. Coss’è ste furie? coss’è sta novità?
Ottavio. Sapete che le donne, quando hanno fissato, sono ostinatissime; per quanto abbia detto, non vi è rimedio; ella vuol partire assolutamente.
Momolo. Stassera no se va via, se credesse de dar fogo al burchiello.
Ottavio. Voi non conoscete bene mia sorella; sarebbe capace di andare a piedi sino a Fusina.
Momolo. Ma cossa mai xe stà? cossa gh’hoggio fatto? Pussibile che la me fazza sto torto? pussibile che no la voggia restar almanco stassera? Stassera almanco; domattina, se la vol andar, pazenzia, vegnirò a Venezia anca mi. Ma me preme che la resta stassera; ho parecchià una festa da ballo, che spero sarà qualcossa de particolar. Via, caro amigo, manizeve, fe che la resta, ve devertirè anca vu, ballerè, starè allegramente.
Ottavio. Io, per dire il vero, del ballo non mi diletto.
Momolo. Se vorè zogar, zogherè; ghe sarà da devertirse a zoghetti, ghe sarà dei taolini de bassetta, de faraon.
Ottavio. La bassetta mi piace, ma non ho portato meco danari per cimentarmi.
Momolo. Voleu bezzi? sè patron, comandè.
Ottavio. Vi ringrazio, non sono vizioso a tal segno di prender danari ad imprestito per giocare.
Momolo. Cossa serve? Tolè dei bezzi, e zoghè. Se vadagnarè, me li restituirè; se perderè no m’importa; farò conto d’averli persi per mi.
Ottavio. Troppo generoso, signor Momolo; se farete simili esi-