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294 | ATTO SECONDO |
Leandro. Eppure ad onta di tutto questo, e a fronte delle vostre medesime dichiarazioni, mi voglio ancor lusingare. Vuo’ resistere sin ch’io posso. Non vuo’ staccarmi da voi; non voglio cedere vilmente il campo; e se la mia sofferenza non arriverà a guadagnarmi la grazia vostra, almeno la mia fedeltà, la mia costanza in amarvi servirà di rimorso alla vostra ingratitudine, e forse di pentimento alla scelta, che voi sarete per fare. I confronti o tardi o presto fanno conoscere la verità: determinatevi per chi volete, non troverete il più discreto, il più sincero, il più rispettoso amante di me. (parte)
SCENA XI.
Clarice sola.
Per dire la verità, confesso fra me medesima essere la mia una specie d’ingratitudine verso di lui, ma sentomi internamente della ripugnanza ad amarlo, e questa mia ripugnanza mi pare che dir si possa un destino. All’incontro per Momolo, che forse merita meno, ho dell’inclinazione, della passione, della premura, e questo è un altro destino. So bene però, che non posso essere per tutto ciò astretta a precipitarmi con un giovane mal regolato, ma pure non so determinarmi ad un altro, sperando sempre ch’egli abbia a divenire migliore.
SCENA XII.
Celio e la suddetta.
Celio. (Ecco una di quelle che succhiano il sangue di mio cognato), (da sè, osservando Clarice)
Clarice. (Chi è questi, ch’io non conosco?) (da sè)
Celio. (Mi sento quasi tentato di dirle quel che si merita). (da sè)
Clarice. (Mi guarda, e non mi saluta nemmeno). (da sè)
Celio. (Ecco come i miei danari sono bene impiegati). (da sè)