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288 ATTO SECONDO


Momolo. Mi no la credo de sto carattere.

Ottavio. Mia sorella è sempre stata una donna civile.

Clarice. Ed il signor Leandro è sempre stato un uomo di spirito, ma ora non so che cosa lo rende inquieto.

Leandro. Il confronto del signor Momolo mi avvilisce, e mi fa perdere tutto il merito che mi sono acquistato.

Momolo. Mi non intendo cossa che el voggia dir, e però el me permetterà che no ghe responda.

Clarice. Parla da oracolo il signor Leandro.

Leandro. Ho principiato a rendermi odioso alla signora Clarice, allora quando ho creduto bene consigliarla di non ricevere un anello in dono.

Clarice. Questo vostro discorso principia ora ad offendermi. Mi credete voi di un carattere vile?

Momolo. Se gh’ho offerto un anello, ela no sa, patron caro, con che intenzion mi ghe l’abbia offerto.

Ottavio. Il signor Momolo può avere delle mire oneste sul cuore di mia sorella. (Tentiamo di stringere l’argomento per venire) alla conclusione). (da sè)

Clarice. Ed io lo posso ricevere senza offesa del mio decoro.

Momolo. (La sarave bella, che la lo volesse adesso che nol gh’ho più). (da sè)

Clarice. Signor Momolo, per far vedere al signor Leandro che non dipendo che da me medesima, favoritemi quell’anello, che me lo voglio mettere in dito.

Momolo. (Oh poveretto mi, cossa hoggio fatto!) (da sè) Adesso mo no lo gh’ho veramente.

Clarice. Andate a prenderlo, che vi aspetto.

Momolo. Ho pensa dopo che noi giera un anello degno de ela; se la me permette, ghe ne troverò uno più bello.

Clarice. No, no; desidero di aver quello.

Momolo. (Son in tun bell’intrigo per el mio bon cuor), (da sè) Bisogna che ghe confessa sinceramente, che quell’anello no lo gh’ho più.

Clarice. Come? Non avete voi detto ch’egli era mio, che lo tenevate per me in deposito?