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222 ATTO TERZO


Dottore. Quantunque, per dir il vero, vi piaccia un po’ troppo l’allegria, si sente dalle vostre parole che avete buon fondo, e solo che vogliate farlo, si può vedere da voi una ragionevole mutazione. Per l’avvenire consigliatevi colla vostra prudenza, ma intanto, se le vostre urgenze vi obbligano a rimediare a qualche impegno, a qualche disordine, signor Momolo, fra gli amici non ci vogliono cerimonie, mille ducati li ho, grazie al Cielo, e sono a vostra disposizione.

Momolo. Son confuso per tanta bontà, che gh’avè per mi. Se sarò in bisogno, me prevalerò delle vostre grazie.

Dottore. Non occorre vergognarsi cogli amici. Ecco qui una borsa con cento zecchini, e il resto dei mille ducati sono pronti, sempre che li vogliate.

Momolo. Per farve veder che fazzo capital delle vostre grazie, torò trenta zecchini in prestio, per pagar una piezaria. Gh’ho qualche debito, ma i me crede, e pagherò quanto prima, e senza aggravarme de più, me regolerò in te le spese.

Dottore. Eccovi trenta zecchini e più, se volete.

Momolo. Andemo, che ve farò la ricevuta.

Dottore. Mi maraviglio; coi giovani della vostra sorte non vi è bisogno di ricevuta.

Momolo. Sempre più me trovo obbligà e confuso. Credeme, sior Dottor, che pensando ai mi desordeni me vien malinconia.

Dottore. Eh, caro amico, io ho motivo di rattristarmi da vero.

Momolo. Per cossa?

Dottore. Per causa di mio figliuolo.

Momolo. Coss’halo fatto sior Lucindo?

Dottore. Avete osservato, che oggi non è nemmeno venuto a pranzo?

Momolo. Xe vero. Cossa vol dir?

Dottore. Ho scoperto ch’egli ha la pratica di una ragazza, che dicesi voglia fare la ballerina.

Momolo. Pur troppo xe vero. Mi no gh’aveva coraggio de dirvelo; ma ghe l’ho visto in casa più di una volta.

Dottore. Ci andate voi da colei?