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216 | ATTO TERZO |
delicati motteggi mi fanno dubitare che sospettiate di me. Stimo il signor Momolo, le sono obbligata per qualche piacere ch’egli ha fatto a mio marito, ma non sono capace...
Eleonora. Non vi è bisogno...
Beatrice. Sì, signora. Vi è bisogno che voi sappiate che io non sono capace di certi amori sospetti, e che temendo di disgustarvi, siate1 certa che il signor Momolo non lo tratterò più, fino ch’io resti in Venezia. Eleonora, Non mi crediate così indiscreta...
Beatrice. So il mio dovere in questo...
Eleonora. Volete parlar voi sola?
Beatrice. Compatitemi. Si tratta dell’onor mio.
Eleonora. Vi confesso ch’io l’amo, confesserò ben anche che ho avuto di voi qualche picciola gelosia, fondata unicamente sul vostro merito; ma vi son altre che mi fan sospirare, e che non hanno nè il vostro carattere, nè la vostra virtù. Pure mi lusingo di vincerlo colla sofferenza.
Beatrice. Certamente coi giovani di quell’età e di quello spirito non si può sperar di vincere diversamente.
Eleonora. Eccolo alla volta nostra.
Beatrice. A rivederci, amica.
Eleonora. Restate...
Beatrice. No, certo. So le mie convenienze. (parte)
SCENA II.
Eleonora, poi Momolo.
Eleonora. Parmi vedere in lui un certo rispetto verso di me, che un giorno potrebbe anche cangiarsi in amore.
Momolo. Siora Leonora, la prego de compatirme. L’averà ben capio dal carattere de quella signora, se mi gh’ho nissuna cattiva intenzion.
Eleonora. Son persuasa di questo. E credo che siate tanto indifferente con lei, quanto lo siete con me.
- ↑ Così Savioli; nelle altre edd. si legge: siete.