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L'UOMO DI MONDO | 195 |
se mi ci metto... Eccolo per l’appunto. Mi mette, per dir vero, in un po’ d’apprensione, ma vo’ mostrare di aver più coraggio di quello che internamente mi sento.
Momolo. (Velo qua per diana. Nol xe contento, se no lo fazzo spuar un poco de sangue). (da sè) Sior Ottavio, la reverisso.
Ottavio. Padrone mio riverito.
Momolo. Gran facende che la gh’ha da ste bande!
Ottavio. Questa è una cosa, che a voi non deve premere nè punto, nè poco.
Momolo. Veramente, se ho da dir el vero, no me n’importa un bezzo. Basta che stè lontan dalla casa de siora Eleonora, per el resto no v’ho gnanca in mente.
Ottavio. Ci comandate voi in casa della signora Eleonora?
Momolo. In casa no ghe comando. Ma vu no voggio che gh’andè.
Ottavio. Questo voglio impiegatelo con chi dipende da voi: non con i galantuomini della mia sorte.
Momolo. Sior galantomo caro, la se contenta de andar cento passi alla larga.
Ottavio. A me?
Momolo. A ela, patron.
Ottavio. Non vi bado, non so chi siate.
Momolo. No savè chi son? Vel dirò mi chi son. Son uno, che se non anderè lontan da sti contomi, ve darà tante sberlea, che ve farà saltar i denti fora de bocca.
Ottavio. A me?
Momolo. A vu.
Ottavio. Eh, giuro al Cielo. (mette mano alla spada)
Momolo. Via, sior canapiolob. (mette mano ad un legno, che tiene attaccato alla cìntola sotto al ferraiuolo)
Ottavio. Se non avete la spada...
Momolo. Co i omeni della vostra sorte questa xe la spada che dopero. Vegnì avanti, se ve basta l’anemo.
Ottavio. Sarebbe una viltà, ch’io addrizzassi la spada contro un’arma sì disuguale.