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L'UOMO DI MONDO | 175 |
Momolo. Semo in parola. La me daga la man.
Beatrice. Perchè ho da darvi la mano?
Momolo. Per la parola, che la me dà.
Beatrice. Non vi è bisogno. Ci siamo intesi.
Momolo. Cossa gh’hala paura? No gh’ho miga la rogna.
Beatrice. Ecco la mano.
Momolo. In segno de respetto. (le bacia la mano)
Beatrice. Troppo gentile.
Momolo. Tutto ai so comandi.
Beatrice. Andiamo a vedere, se mio marito ha ritrovato la lettera.
Momolo. Aspettemolo, che el vegnirà.
Beatrice. No, no, è meglio che andiamo.
Momolo. Eh via. (tenero)
Beatrice. Andiamo, vi dico. (Non vorrei che mio marito s’insosospettisse di qualche cosa). (da sé)
Momolo. La servo dove che la comanda. (Oh, che beli’incontro che xe sta questo!1 Se andasse anca i trenta zecchini, sto muso ghe ne merita più de cento). (partono)
SCENA XI.
Strada, come nella prima scena.
Eleonora alla finestra della propria casa, poi Ottavio.
Eleonora. Ma! Sono sfortunata io. Tanto amore ho per Momolo, ed egli così poco di me si cura. Passa dinanzi alla porta della mia casa: si ferma sotto le mie finestre, e in vece di cercare di me, va a divertirsi nella locanda; e sa il cielo con chi. Faceva meglio a non dirmelo la cameriera, che ora non proverei questa pena. Voglio almeno aspettare ch’egli esca, non per rimproverarlo, che con lui le cattive non giovano, ma almeno gli servirò di rossore. Mi vo lusingando che un giorno abbia a conoscere la finezza dell’amor mio, ma dubito di dover penar lungamente. Quanti partiti ho lasciati per lui! Il
- ↑ Le parole che seguono, non si leggono nell’ed. Zatta.