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170 | ATTO PRIMO |
Silvio. Oh, in questo poi vi protesto che non gioco più. Non mi dispiace tanto il perdere, quanto l’azione che mi avete fatta.
Ludro. Cossa se porla lamentar dei fatti mii?
Beatrice. Sa il Cielo, come gli avete guadagnato.
Ludro. Come parlela? Son un galantomo....1
Silvio. Io non dico che siate un giocator di vantaggio, ma un galantuomo che vince, dee mantenere il gioco.
Beatrice. In quanto a questo poi ha fatto bene di tralasciare; se seguitava, ci spogliava del tutto.
Ludro. Certo, ho lassa star, perchè ho visto che el giera in desditta. La se contenta, che su la parola no l'ha perso altro che trenta zecchini soli; se seguitevimo, presto se podeva arrivar ai cento, e dai cento passar ai mille. Mi son un omo, che no me piase ste cosse. No i xe altro che trenta zecchini, e la favorissa de darmeli, che vaga via.
Beatrice. Non vi contentate di quelli che avete guadagnato in contanti?
Ludro. La compatisso. Le donne no sa in sti casi cossa sia l'impegno del galantomo. Sior Silvio ha perso trenta zecchini sulla parola, e la so reputazion xe de pagarli subito.
Silvio. Ho tempo ventiquattr’ore; vi pagherò.
Ludro. Un forestier no gh’ha tempo gnanca vintiquattro minuti. La me perdona, mi no so chi la sia.
Beatrice. Sentite che temerario!
Ludro. A ela no ghe bado, patrona.
Silvio. Mi farò conoscere. Ho delle lettere da riscuotere; vi pagherò.
Ludro. E mi son galantomo, ghe darò tutto el tempo che la vol; basta che la me daga el seguro in te le man.
Silvio. Che cosa volete che io vi dia? Non ho niente.
Ludro. So consorte la gh’ha pur delle zoggie.
Beatrice. Come! Anche le mie gioje vorreste? Siete un poco di buono.
Ludro. Orsù, patron, la me paga, o la farò svergognar.
Beatrice. Andate via, ch’or ora faccio io quello che non ha cuore di far mio marito.
- ↑ Ed. Zatta: So galantomo.