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Ma oimè, Signore, arrossisco a dirlo. — Parlate. — Devo qualche filippo all’Oste, e non ho presentemente di che pagarlo. — Non importa; restate qui, manderò il mio Mastro di casa a pagar l’Oste, a far portare il vostro baule. Ehi! chi è di là? (entra un Servitore). Conducete il Sig. Goldoni nell’appartamento di sopra, dategli quelle due camere, che guardano sopra la strada. Poi a me voltandosi: andate, quello sarà il vostro alloggio. Pieno di consolazione, lo ringraziai coi dovuti termini di rispetto e di tenerezza, e andiedi a prender possesso del mio appartamento. Da lì a qualche tempo, quantunque avess’egli un abile Segretario, mi ammise alla confidenza del suo carteggio e de’ suoi dispacci, cosa che mi occupava con mio piacere, e m’instruiva negli affari politici e del governo. Contento egli della mia condotta e della mia abilità, si servia più di me che del Segretario, si tratteneva meco la sera in piacevoli ragionamenti, ed io era l’uomo il più contento del mondo, e non perdeva per ciò di vista il progetto delle Commedie. Mi divertiva nelle ore di libertà facendo qualche disegno e qualche nota principalmente sopra i caratteri, che mi si presentavano alla giornata e che mi parevano Comici, aspettando con impazienza quel tempo, in cui dovea riaprirsi il Teatro, ed informandomi qual era la Compagnia, che dovea occuparlo nella Primavera vicina. Seppi con mio rammarico, che le Compagnie di Venezia erano in quell’anno impegnate altrove, e che il Teatro di Milano correva pericolo di restar vuoto. In fatti arrivammo a Pasqua, senza che alcuna Compagnia si presentasse per occuparlo. Io era di ciò afflittissimo, ma la sorte da lì a poco mi ha favorito.

Giunse in Milano il famoso Anonimo, il quale provveduto di bastante scienza e di pratica sufficiente per fare il medico, sedotto da una vanità sconsigliata, per far pompa della sua eloquenza e della sua erudizione si era abbandonato all’esercizio del Ciarlatano. Era il suo vero nome Buonafede Vitali, nato in Parma di civile ed onesta famiglia, ed aveva occupata in Palermo una Cattedra di Medicina. Dodici anni prima l’aveva io veduto in Fossombruno al ritorno mio di Perugia. Saliva egli allora in banco con due semplici sonatori per invitare il Popolo ad


ascoltarlo,